Il dente in più di Michelangelo
Il “mesiodens”, l’incisivo in più nel Cristo della Pietà, svela come la tecnica della decriptazione delle opere d’arte sia una strada importante per capire in profondità evidenti discrasie nella storia dell’arte.
di Giuliana Poli
Nel 1993 sui ponteggi innalzati per il restauro del Giudizio universale di Michelangelo, il restauratore sottopose all’attenzione di Marco Bussagli un particolare mai notato prima: un’anomalia dentaria che caratterizzava la bocca dei diavoli e dei dannati: la presenza di un quinto incisivo. Il fatto incuriosì lo studioso che iniziò ad approfondire l’argomento e la sua ricerca diede luogo ad una pubblicazione intitolata “I denti di Michelangelo”, pubblicata nel 2014, che evidenziava la particolarità di un dente in più al centro dell’arco dentario, denominato “mesiodens” presente in molte opere del Buonarroti. Secondo il Prof. Bussagli questo fenomeno si può riscontrare fin dal V sec. a.C..
Il mesiodens rappresenta senza dubbio un offuscamento della bellezza basata sul concetto di misura ed armonia. Platone decantava la bellezza come proporzione, quindi il mesiodens, che rompe quest’armonia, corrisponde alla mancanza di grazia divina. Pertanto, il quinto incisivo sta a delineare un personaggio feroce e aggressivo, con valore negativo. Ed infatti, Medusa, i Ciclopi e i Centauri già dal V sec. a.C. avevano questo dente in più, come anche i dannati e i peccatori.
Come spiegare allora il mesiodens sulla figura del Cristo nella Pietà di Michelangelo? In questi casi, non riuscendo a risolvere l’arcano, Bussagli fa entrare in gioco il dogma, la forzatura intellettuale, e questo per far quadrare i conti di un pensiero irregimentato in un format: ovvero che il Cristo ha il quinto dente come i guerrieri e i peccatori perché è l’unico che può sconfiggere il male che è da sempre sulla bocca dell’umanità.
Attraverso la tecnica della decriptazione si può dare una spiegazione coerente perché Michelangelo ci dice che il personaggio di Gesù nella Pietà è qualcosa di diverso dalla teoria dominante. Se giriamo il suo viso appare un uomo dall’espressione beffarda, quindi non rispondente alla realtà apparente. (vedi Da Dante a Michelangelo, La Pietà, gli Spiritualisti e la sacra stirpe di Giuliana Poli, Luoghi interiori edizione). Mentre per i cristiani avere un dente in più significava essere dannati, per i Celti significava appartenere alla stirpe divina, una visione ripresa dagli Spiritualisti. Michelangelo, quindi, usa il simbolismo cristiano per l’immagine apparente e il simbolismo celtico degli Spiritualisti per il personaggio nascosto a cui si riferisce davvero. Attraverso la decriptazione si possono spiegare delle discrasie che non si comprendono se si relativizza lo studio solo sull’immagine apparente e non in quella dissimulata dall’artista ma che rappresenta la realtà reale.