La Pontificia Fonderia Marinelli.
Di Giuliana Poli
Il suono delle campane è fratellanza, la voce di Dio che scaturisce dal bronzo benedetto fuso da artigiani abili e devoti.
I suoi rintocchi sono vibrazioni verso le quali l’umano si riconosce, un linguaggio madre che guarisce, perché ognuno di noi ha una campana interiore che è il nostro cuore che risuona attraverso gli archetipi più profondi. La campana a festa è un inno alla gioia, la sua lentezza annuncia un lutto, scandisce le ore della nostra vita e annuncia la “rivoltura”, che i contadini ancora oggi cercano di scongiurare, con la speranza che il loro fragore potesse rompere l’elettromagnetismo causato dalla tempesta e riportare il cielo sereno. I loro rintocchi sono musica e tutti i più grandi compositori della storia si sono ispirati all’armonia e la disarmonia del loro suono, la cui sintesi rappresenta l’origine della vita.
Le campane sono un vero e proprio strumento musicale dalle straordinarie qualità canore. Non è possibile individuare con precisione le sue origini, ma sono molti gli storici che attribuiscono a San Paolino di Nola (353-431 d.C.) il suo utilizzo a scopo religioso. Il nome stesso di campana viene da Campania.
Ad Agnone, in Molise, piccolo paese in alta quota, ricco di storia e di cultura italica, osca e sannitica, i cui dei, aleggiano ancora presenti nelle desolate ma ricche montagne, dal 1339 la Famiglia Marinelli, crea campane con l’attuale marchio la Pontificia fonderia Marinelli, famosa in tutto il mondo. In questo luogo amato dalle aquile, dove il vento ha lo stesso linguaggio delle campane, regna un’atmosfera distesa e serena. Nell’antica terra molisana, lo stress della vita moderna si frantuma di fronte ad una filosofia del vivere con radici millenarie, la cui saggezza risuona in Gabriella e Gioconda Marinelli, il fonditore Armando Marinelli, la sua consorte Paola Patriarca abile artista e il figlio Ettore, giovanissimo, ma già affermato scultore, cesellatore e fonditore di livello internazionale, Pietro e Diego Marinelli.
Ad Agnone si respira il profumo della Tradizione, dove lo spirito del fuoco, come un miracolo si rinnova ad ogni nascita di una nuova campana che, dopo un antico rito di benedizione, avviene in soli due-tre minuti, in un calore infernale. Durante questo breve tempo i fonditori si rendono subito conto se la “colata” è andata bene, se il bronzo fuso è arrivato in tutte le intercapedini dello stampo magistralmente preparato e in quel momento di trepidazione, la nuova nascita viene festeggiata in un abbraccio liberatorio, ricco di emozione, come il venire alla luce di una figlia.
Le campane come ci racconta Paola Patriarca: “Sono strumenti musicali idiofoni, a percussione diretta. Sono fatte di bronzo, una lega composta da 78 parti di rame e 22 di stagno, che fonde a circa 1200°. Prima di giungere alla fusione occorrono molte fasi e tempi lunghi di lavorazione, con gli stessi materiali e tecnica in uso nel Medioevo. Per eternarle nel bronzo, i grandi artisti del Rinascimento affidavano le loro sculture, ai fonditori di campane, perché ritenuti i più esperti e i più raffinati, unici custodi del segreto per imprimere voce e anima al metallo. Per realizzare una campana occorrono procedure molto complesse, esperienza secolare e tempi tecnici di lavorazione di circa tre mesi. Si parte da un elaborato modello composto di Anima, Falsa campana e Mantello. L’Anima è una sagoma in legno che si prepara con una costruzione di mattoni ricoperta di argilla corrispondente all’interno della campana. Sull’Anima, rivestita di un secondo spessore di argilla sino ad ottenere una superfice levigata, si applicano le iscrizioni dedicatorie, le immagini e i fregi artistici in cera. Sulla Falsa campana si stendono ancora i diversi strati di argilla fino ad ottenere lo spessore desiderato. La struttura così completa si cuoce con la tecnica della cera persa (la cera si scioglie con il calore lasciando impressa in negativo, all’interno del mantello, la composizione artistica), a questo punto si solleva il Mantello e, dopo aver distrutto la Falsa campana, lo si ricolloca sull’Anima. Il modello viene interrato nel fosso di colata dove avviene la fusione del Mantello a 1200° C. Il bronzo liquefatto viene versato nelle singole forme riempendo lo spazio libero creato tra l’Anima e il mantello. Dopo un lento raffreddamento, la campana è estratta dal fosso di colata, infine, liberata dall’Anima e dal Mantello, viene ripulita e cesellata; vi si applica poi il battaglio di ferro e si procede al collaudo musicale. Da più di cinquant’anni è con noi il maestro del suono Antonio Delli Quadri, che è una vera e propria istituzione ”.
Il maestro alchimista che abbiamo avuto l’onore di incontrare è un uomo straordinario e carismatico, a cui suo padre trasmise i segreti dell’arte, nel senso più antico e profondo della parola: “ Le diverse caratteristiche del suono, del timbro e della frequenza”, ci spiega Antonio Delli Quadri:” Vengono determinate principalmente dalla forma strutturale e dalle dimensioni della campana stessa. È già dalla costruzione della sagoma che viene determinata la nota musicale. Generalmente i fonditori dispongono di una serie di sagome, che consentono di realizzare tutti i dodici semitoni della scala cromatica musicale, per fondere almeno cinque Ottave, necessarie per creare concerti di campane. Stabiliti i rapporti proporzionali e parametrali si fissano i dati realizzando la scala campanaria, quelle che ne determinano il peso, la frequenza, la nota. Più la campana è piccola più le vibrazioni aumentano e viceversa. Per diventare maestro occorre conoscere la matematica, la geometria, la musica, la fisica, la chimica… tutto! Non si finisce mai di studiare e imparare”!
Intervista alla storica della famiglia, Gioconda Marinelli, alla quale abbiamo chiesto notizie sull’origine delle campane di Agnone.
Qual è il rapporto tra la cultualità del fuoco e del bronzo ed il territorio di Agnone, un luogo storico apicale del mondo italico?
Ho intitolato un mio libro sulle campane di Agnone, “Arte e fuoco”, perché i sacri bronzi sono legati al fuoco per la loro nascita. Osserva Dacia Maraini che abbiamo avuto ospite: “Sono stata colpita dal procedimento, antico come il mondo, eppure segreto e misterioso, con cui ancora oggi vengono costruite le campane: quei passaggi lenti e circospetti da una materia all’altra, quella meravigliosa trasformazione del liquido in solido, quelle lievitazioni scintillanti, quella straordinaria nascita del suono dalla materia inerte. C’è qualcosa di talmente umano, nel senso dell’ingegno creativo, della sapienza meccanica e chimica, in questo processo, da apparire disumano, quasi fosse un lavoro degli angeli per festeggiare i cieli”.
Dal fuoco e bronzo nascono le “voci degli angeli”, i rintocchi di pace; ma non sempre hanno obbedito alla pace, il bronzo e fuoco; in tempi di guerra, si sono trasformati in armi. Per i fieri Sanniti anche, ma non solo; numerose sono le statuine votive, per i loro dei ritrovati, perfino la loro scrittura, l’osco è presente su tavole di bronzo, ma questa è un’altra storia, impegnativa e lunga.
Quando nasce la Pontificia Fonderia Marinelli? E quando nasce il rapporto strettissimo con la Chiesa?
La Fonderia Marinelli nasce come Pontificia nel 1924, quando Pio XI le concesse questo titolo, dopo la fusione e la benedizione del maestoso concerto campanario per la Basilica di Pompei. E da allora la storia dei fonditori Marinelli continua a incrociarsi con eventi storici e religiosi e molte campane sono nate e nascono per volontà dei Papi: durante il pontificato di Paolo VI venne fusa la campana del Concilio, esposta nel padiglione Vaticano alla Fiera di New York destinata alla cattedrale di San Patrizio e così via, fino alla campana del Giubileo 2000, benedetta in Piazza San Pietro da Giovanni Paolo II, l’indimenticabile Papa che venne in Agnone e visitò la fonderia nel marzo 1995, giornata storica, incisa nei cuori della famiglia Marinelli. Già è pronta la campana del Giubileo 2025, testimone di fede e di pace.
Cos’ha rappresentato suo padre nell’azienda di famiglia?
Il ricordo di Pasquale Marinelli, il patriarca delle campane è sempre vivo e costante per noi figlie, per me e Gabriella, per i nipoti Armando e Pasquale, figli di suo fratello Ettore, raffinato scultore, che lo ha affiancato nel lavoro. È stato sempre apprezzato e amato per le sue doti umane e manageriali, per la passione e l’impegno profuso nel portare avanti a livelli internazionali la meravigliosa arte degli avi. Ha voluto e realizzato il Museo internazionale della campana, intitolato a Giovanni Paolo II e dedicato al fratello, oggi meta di studiosi e turisti che provengono da ogni parte del mondo.
Secondo lei qual è il segreto della lunga e inossidabile tradizione della famiglia Marinelli?
L’amore e la passione per questo mestiere antico, il desiderio di continuare l’arte millenaria tramandata dagli avi, seguendo scrupolosamente i loro insegnamenti, le tecniche e i segreti, con rispetto e una vera e propria devozione.
Intervista a Ettore Marinelli Scultore, Fonditore e Cesellatore della storica Famiglia Marinelli di Agnone.
Che cosa rappresenta per lei la Pontificia Fonderia Marinelli? Quali valori le ha trasmesso?
Sono nato in un’antica fonderia di campane da genitori (ed avi) che lavorano lì da ventisette generazioni. Fin dalla giovanissima età plasmavo l’argilla producendo con grande naturalezza piccoli animali e figure umane. A venti anni ho cominciato a lavorare per una committenza sia laica, che religiosa. Infiniti sono i ricordi legati alla mia infanzia in fonderia e partono tutti da una data storica, il 19 marzo 1995, quando donai il mio primo ritratto al Santo Papa Giovanni Paolo II, in visita alla nostra Bottega di Agnone. Avevo poco più di tre anni, ma ricordo esattamente quell’incontro, che fu straordinario per tutta la famiglia e per l’intero paese.
La Fonderia è la mia casa, da sempre. Anche l’appartamento in cui abito è situato su un precedente laboratorio che era stato l’officina dei Marinelli fino al 1950, quando un devastante, tragico incendio costrinse al frettoloso trasferimento negli ampi locali di un granaio ottocentesco posto, a quel tempo, ai margini del paese. In casa, mia madre Paola Patriarca, mi consentiva di fare attività “molto confusionarie” e altrettanto creative e questo ha sicuramente attivato e fatto esprimere pienamente tutto il mio talento. A diciotto anni mi sono trasferito a Napoli, dove ho frequentato l’Accademia di Belle Arti, ottenendo la Laurea magistrale in Scultura col massimo dei voti. Parte del mio percorso di esperienze e di studi l’ho vissuto a Parigi. Ho mantenuto il mio legame con l’Accademia di Napoli come Cultore della Materia e attualmente insegno Modellazione plastica al Liceo artistico oltre a lavorare in bottega dove plasmo e fondo grandi monumenti nell’azienda di famiglia.
Appartenere a grandi famiglie storiche, con un’identità così forte segna il percorso di vita, non è un caso che è diventato un abilissimo scultore cesellatore e fonditore. Qual è l’elemento artistico distintivo e atipico che è solo suo, che la distingue e la caratterizza?
Numerose grandi mie opere sono collocate in piazze, porti e giardini di tutt’Italia, ma anche in piccole chiese e cattedrali, in palazzi ed Enti internazionali, in case private, anche prestigiose. Gli addetti ai lavori dicono di me che sono molto abile nella ritrattistica, riuscendo a dare velocemente grande somiglianza e spiccato carattere ai miei soggetti. Potrei citare quasi un centinaio di busti, collocati anche all’estero.
Vorrei ricordare, fra le tante, due delle opere che mi hanno particolarmente emozionato: la prima è la lampada a olio con le sembianze di San Francesco (fig.1) donata dalla Regione Molise alla Basilica di Assisi. Avevo diciannove anni ed esattamente venti anni prima, nel ventre di mia madre, ero già ad Assisi per la consegna della lampada votiva plasmata questa volta da mio padre. La seconda opera che vorrei nominare è il monumento “il Bacio” collocato presso il terminal delle crociere nel porto di Civitavecchia. È la doppia statua di una giovane coppia che si abbraccia emozionata, lui è un marinaio e rievoca quello americano che, a fine guerra, bacia una bella infermiera. Questa statua è un invito ad avere un contatto affettuoso, ma posso assicurare che è stata concepita e plasmata in assoluta solitudine, nel segreto del mio laboratorio, durante il primo lockdown, quando toccarsi, baciarsi e persino incontrarsi, era vietato. Oggi è un’immagine gioiosa che invita i vacanzieri a baciarsi, non è un saluto, né un arrivederci, ma un invito a partire insieme o a ritrovarsi, per sempre.
Nascere in una famiglia storica è molto impegnativo. Proseguire nell’antico mestiere è una scelta che deve essere fatta col cuore e per sempre, per un’intera vita. Non prevede pensionamento e nemmeno festività e normali vacanze. È una vita dedicata, che prevede grandi sacrifici, ma anche gratificazioni non comuni, a volte inaspettate. Tra i privilegi c’è quello inestimabile di conoscere tanta gente, umanità diversissima e varia per infiniti aspetti, tutta profondamente interessante: dal vecchio eremita al Pontefice, dal piccolo collezionista al Capo di Stato; questo rende molto stimolante e davvero particolare il nostro mestiere.
L’attività di famiglia è stata da sempre parte di me e dei miei interessi. La fonderia Marinelli è un’azienda familiare dove, pur prediligendo un settore particolare, è necessario che tutti conoscano e condividano ogni aspetto lavorativo, tecnico e commerciale. Molto importante è il rapporto con i clienti e, necessariamente, con media e social.
Lavorare fianco a fianco, con genitori, fratelli, cugini e zii è poco comune ma certamente crea un ambiente letteralmente familiare. Tuttavia, questa condizione pone strani equilibri fatti di rispetto ma anche di riservatezza che non ammette sempre estrema spontaneità; però è bello, ci si sente sempre a casa e sempre un po’ coccolati e coccolanti. La mia presenza all’interno di questo gruppo di lavoro sta diventando decisiva ed importante perché ha notevolmente rafforzato la produzione di opere artistiche precedenti.
Ha portato una ventata di novità e innovazione?
Certo. La Fonderia Marinelli è nota per la produzione delle campane e quest’anno commemora il Centenario della concessione del Brevetto Pontificio. Per chi fonde le campane, non è complicato fondere altre figure artistiche. Le mie capacità, che sono la forza, l’originalità, il talento, insieme al lavorare di gran lena, hanno aperto direzioni nuove e molto promettenti. L’interesse verso le mie opere, frutto di originalità ed ingegno, è crescente sebbene in passato ho avuto richieste di soddisfare il gusto di una clientela tesa ad uno stile più tradizionale. Oggi sono apprezzato come artista dal tratto identificativo e ho la facoltà di osare, di sperimentare, di godere pienamente della materia. Questo mi gratifica molto e mi stimola ancor di più. Cerco di condividere questo mio entusiasmo e quest’energia con i miei giovani alunni, perché sappiano individuare ciò che è bellezza e armonia, cioè quel che è “buono”.
Cosa vedi nel tuo futuro?
Nel mio futuro vedo energia, emozioni ed elementi plasmabili.
L’impegno in un’azienda familiare è totalizzante: non si stacca mai la spina. Si è sempre concentrati sul lavoro, anche quando si è fisicamente distanti. Quando il lavoro è tuo, deriva da te e dipende dal tuo lavoro anche quello degli altri, il pensiero corre sempre là e quando pare che tu sia distratto, in effetti, stai progettando il prossimo passo. Noi lavoriamo l’intera settimana senza sosta, perché dal lunedì al venerdì siamo occupati nella produzione di campane ed opere d’arte; il sabato, la domenica e nei giorni festivi si intensifica l’attività museale, siamo dunque impegnati nell’accoglienza dei numerosi turisti che raggiungono Agnone per visitare il Museo della Campana. Quest’attività ormai venticinquennale è delicata ed importante: il nostro Museo è di grande attrazione per un pubblico sempre crescente ed interessato ad un’arte antica e ad un mestiere sorprendente ed antico. Anche attraverso il nostro impegno, Agnone sta affermandosi come centro turistico e culturale noto, ricercato ed anche molto apprezzato.
– Secondo lei qual è il rapporto del territorio di Agnone e delle sue fonderie con il mondo italico Oscio e Sannita? C’è un nesso? Come questo connubio indissolubile è presente nelle sue opere?
Le mie radici sannite sono profonde e vive: ancora nei tratti e nel carattere della mia gente si percepisce la fierezza e la forza, la tenacia e il sospetto. Per quanto l’arte di fondere il bronzo risalga a 2500 anni fa, e lo dimostrano i reperti archeologici rinvenuti sul territorio, essa andò perfezionandosi dopo il primo millennio d.C., sotto l’influsso degli artigiani veneziani istallati nella città a seguito del capitano Landolfo Borrello. La natura conventuale che caratterizzò in seguito Agnone fece sì che la cittadina andò specializzandosi nella fusione delle campane che cantano inni di lode a Dio e ai Santi esattamente come la Tavola Osca esigeva riti alle divinità dei Sanniti.
– Un’altra grande eredità che le hanno lasciato le donne di Agnone è l’amore per la cucina, come nasce e qual è il piatto che appartiene alla tradizione più profonda della sua famiglia e del suo territorio?
La mia vita è piena d’impegni che mi portano a viaggiare spesso, ad incontrare, a comunicare… dunque nel tempo libero ambirei all’ozio: il più ozioso degli ozi! Ma il mio ozio non è mai improduttivo, dunque cucino, godo del cibo e … corro! Adoro cucinare: da abile artista mi piace impastare e mi dicono che sono pure bravo. Abbino ingredienti, gusti, colori, odori e quest’atto creativo, così gradevolmente effimero contrasta col mio “mestiere” che tende all’eternità.